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CRONACA

BUONE VISIONI – Il Cinema in TV venerdì 19 luglio (di Aaron Ariotti)

Redazione Sora24
Redazione

Bando alle ciance, fa caldo e non ho nessuna voglia di stare al computer. Ore 21,10 7 Gold, “Il mucchio selvaggio” (1969), capolavoro assoluto di Sam Peckinpah, considerato da gran parte della critica uno dei 10 migliori western di sempre. Il bandito Pike Bishop e la sua banda, dopo una fallita rapina in banca, sconfinano nel Messico della rivoluzione, e accettano di depredare un carico d’armi  dell’esercito USA per il generale Mapeche, che combatte i ribelli di Pancho Villa. Ma quando Mapeche scopre che uno del gruppo (il messicano Sanchez) ha rubato una cassa d’armi proprio per rifornire la sua gente,  lo fa barbaramente uccidere. I suoi compagni lo vendicano con una carneficina da cui non si salverà nessuno. Un grandissimo cast: ci sono William Holden, Ernest Borgnine, Ben Johnson, Warren Oates, Robert Ryan e Strother Martin. Quando il film uscì, suscitò roventi polemiche in patria a causa della sua violenza, ma fece scalpore anche l’assoluta amoralità dei personaggi. Una parola sull’esasperazione della messa in scena va spesa: nel film si contano 3.643 inquadrature, un numero spropositato per ogni altro film realizzato in Technicolor. Alcune di queste sono così brevi – tre o quattro fotogrammi in tutto – da risultare impercettibili all’occhio umano. Il montaggio è frenetico: combina ralenti a flash subliminali creando un effetto spiazzante. È un western, sì, ma è anche la fine del western, inteso come epopea di una nazione. Una specie di epitaffio del genere: ci sono solo uomini, e sono delinquenti, non eroi. E la morte alla quale vanno incontro non ha niente di retorico.

Alle 1.40, Rete 4 manda in onda “Frank Costello faccia d’angelo” (1967), orrido titolo italiano che va a sostituire l’originale, e più pertinente, “Le Samouraï”, eccezionale film di Jean-Pierre Melville. Frank Costello (nell’originale si chiama Jef) è un killer solitario. Una sera uccide su commissione il proprietario di un night club. Caduto in una retata della polizia riesce a fornire un alibi inoppugnabile grazie alla connivenza della sua amante. Rimesso in libertà è costretto a difendersi su due fronti: da una parte la polizia, dall’altra i mandanti dell’omicidio decisi a eliminarlo. Leggendo la trama si direbbe un poliziesco come gli altri. Ma la trama non basta a raccontare la bellezza di questo film. Qui Melville, che è anche autore della sceneggiatura, lavora sulla malinconia di un uomo che, sullo sfondo di una Parigi struggente (fotografata magnificamente da Henri Decaë), fa il killer di mestiere, fronteggiando, oltre alle sue vittime, la propria solitudine esistenziale. È uno dei vertici del genere polar (connubio, alla francese, dei generi poliziesco e noir), privo di qualsivoglia stereotipo. Alain Delon è perfetto nella parte dell’assassino solitario che sublima ogni suo singolo gesto in un’essenzialità da vero samurai. Riguardo alla storpiatura del titolo italiano, fu lo stesso regista a definire lo sconosciuto colpevole “un farabutto”. Se non avete mai visto un film di Melville, dopo aver visto questo vorrete vederli tutti.

Nel caso in cui invece questa sera aveste intenzione di uscire, vi comunico che io in soffitta ho i due titoli in questione su supporto VHS. E li vendo a peso d’oro.

Buone visioni.

Aaron Ariotti

 

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