In particolare, il suo impiego per il recupero di terreni agricoli incolti o confiscati alla criminalità organizzata sta assumendo un ruolo strategico in diverse zone dell’isola, grazie all’impegno di cooperative, consorzi e associazioni.
Un ritorno alla terra nel segno della legalità
La Sicilia è la regione italiana con il maggior numero di beni confiscati alla mafia: secondo i dati dell’Agenzia Nazionale per i Beni Sequestrati e Confiscati (ANBSC), si parla di migliaia di ettari di terreni agricoli che ogni anno vengono sottratti alla criminalità organizzata e affidati per finalità sociali. In molte di queste aree, spesso abbandonate e prive di valore commerciale, la coltivazione della canapa è stata scelta per le sue caratteristiche ecologiche e per la capacità di bonificare il suolo.
La canapa, infatti, è una pianta estremamente resistente, che non necessita di pesticidi né di grandi quantità d’acqua, e ha proprietà fitodepurative, ovvero è in grado di assorbire metalli pesanti e sostanze inquinanti dal terreno. Questo la rende perfetta per il recupero di aree agricole degradate o compromesse da anni di incuria.
I progetti nel ragusano e non solo
In provincia di Ragusa, così come in altre zone dell’entroterra siciliano come Enna, Caltanissetta e nel trapanese, alcuni consorzi e cooperative sociali hanno avviato negli ultimi anni progetti pilota di coltivazione della canapa su terreni precedentemente appartenuti a boss mafiosi. Uno degli esempi più noti è quello promosso da alcune realtà aderenti a Libera Terra, che ha saputo trasformare beni confiscati in aziende agricole biologiche d’eccellenza.
Non si tratta solo di un ritorno all’agricoltura, ma di un vero e proprio modello di economia civile: il lavoro agricolo diventa occasione di inclusione per giovani, ex detenuti, persone fragili e disoccupati. La produzione spazia da canapa per uso tessile, fino a oli, farine e materiali per la bioedilizia.
L’ombra del decreto sicurezza
Tuttavia, questo fermento rischia oggi di subire un brusco arresto. Il decreto sicurezza approvato dal Parlamento ad aprile 2025, infatti, ha introdotto una serie di norme che mettono a rischio l’intero comparto. In particolare, l’articolo 18 del provvedimento prevede che le infiorescenze di canapa light siano considerate alla stregua di sostanze stupefacenti, anche quando contengono livelli di THC inferiori ai limiti previsti dalla legge 242/2016.
Questo passaggio rischia di criminalizzare un intero settore, mettendo in difficoltà centinaia di aziende agricole, tra cui molte realtà sociali e cooperative impegnate sul fronte della legalità. Secondo le principali associazioni di categoria, come Canapa Sativa Italia, le nuove norme potrebbero cancellare in pochi mesi anni di investimenti e oltre 15.000 posti di lavoro legati alla filiera della canapa legale in Italia.
Erba legale, sviluppo reale
Nel dibattito pubblico, spesso si fa confusione tra cannabis a uso ricreativo e canapa industriale o terapeutica. Eppure, il valore della erba legale, coltivata secondo la normativa vigente, risiede proprio nella sua capacità di creare economia legale e trasparente, in settori che vanno dall’agricoltura alla cosmesi, passando per l’edilizia green.
In Sicilia, questa pianta ha dimostrato di poter ridare dignità a terre ferite, generando occupazione, restituendo fiducia e contribuendo concretamente alla lotta contro la criminalità organizzata. Fermare questo percorso significherebbe non solo perdere una risorsa agricola strategica, ma anche minare un modello virtuoso di sviluppo sostenibile e giustizia sociale.