Zoff Gentile Cabrini, Oriali Collovati Scirea, Conti Tardelli Antognoni, Graziani Rossi. Questa è la “prima” poesia che ho imparato ancor prima di andare alle elementari: la formazione iniziale di Italia-Brasile del Mondiale di Spagna. Dall’altra parte c’erano “versi” più importanti, come Zico Falcao Junior, Socrates Cerezo Eder, e via dicendo. Ma vincemmo noi, sì, ancora oggi sembra incredibile, vincemmo noi 3-2 con la magnifica tripletta di Pablito.
Io c’ero, non avevo neanche sei anni ma c’ero, accanto a papà, davanti alla Tv. E ricordo tutto con una nitidezza tale che stamani, quando ho letto della scomparsa di Paolo Rossi mi sono rattristato come se avessi perso una persona cara. La morte fisica di Pablito è un lutto nazionale e condiviso da tutti, o almeno da coloro che ricordano quei magnifici e caldi pomeriggi di inizio estate del 1982. Già, perché all’epoca la Nazionale giocava verso le 17. Il solo ricordo di quei momenti magici fa venire la pelle d’oca.
A dir la verità non iniziò bene il “Mundial”: riuscimmo a superare il primo turno per il rotto della cuffia dopo tre pareggi ottenuti contro Polonia, Perù e Camerun. Le polemiche non mancavano, del resto si sa, quando ci sono i mondiali diventiamo 60 milioni di CT e anche chi non sa se la porta è tonda o rettangolare si sente in dovere di dare indicazioni tecnico-tattiche. All’epoca, come ho già sottolineato, ero bambino ma già tifosissimo della Roma e l’assenza tra i 22 azzurri del capocannoniere della Serie A degli ultimi due anni, tale Roberto Pruzzo, mi fece rimanere male.
Il magone, però, svanì in quel mitico 5 Luglio. Avevamo già battuto l’Argentina di Maradona, Bertoni, Passarella, Diaz e… badate, Pablito non aveva ancora buttato un pallone dentro la porta! Ci riunimmo come di consueto più o meno in 30/40 davanti a un unico televisore da una ventina di pollici. La voce di Nando Martellini era quasi sopraffatta dalle trombette da stadio, non quelle moderne e buffe con il suono acuto tipo Holly e Benji, ma ben più potenti e dal suono grave, emozionante. In realtà tali oggetti non erano altro che avvisatori acustici utilizzati più che altro sui natanti e in vendita anche nei negozi di autoricambi. Tuttavia ancora oggi quando riguardo filmati d’epoca dedicati a quelle mitiche sfide e ascolto quell’inconfondibile frastuono, mi emoziono molto.
Comunque, pronti via e Italia subito in vantaggio proprio con Rossi. Sembrava assurdo e infatti dopo appena 7 minuti Socrates pareggiò e ci fece tornare sulla Terra. Ma quello era il nostro giorno, o meglio il giorno di Pablito, che al 25’ ci riportò in vantaggio. Conservammo il goal di scarto fino al 68’, quando Falcao spedì in porta il pallone del 2-2. Fu una delle due occasioni in cui smisi di amarlo calcisticamente: l’altra fu naturalmente quella di due anni dopo, quando non andò sul dischetto più importante della storia romanista, indipendentemente da come andarono davvero le cose. A quel punto la paura di perdere la gara tornò a farsi viva, ma in fin dei conti non era né più né meno di quella che si provava all’inizio, davanti a quella squadra così tecnica e piena di campioni chiamata Brasile. Tuttavia quello era e restava il nostro giorno, infatti Pablito infilò per la terza volta Valdir Peres a un quarto d’ora dalla fine.
Gli ultimi minuti furono molto più lunghi di quelli della finalissima del Bernabeu, perché eravamo in un girone a tre squadre, non in uno scontro diretto, e ai carioca bastava il pareggio per passare il turno approdando in semifinale. Alla fine vincemmo e fu grande, grandissima festa nelle strade e nelle piazze di tutta Italia. C’era un bellissimo sole intorno alle 19 di quel pomeriggio e migliaia di automobili sfrecciavano in ogni dove con il tricolore al vento.
Il resto lo conoscete: la doppietta di Rossi con la Polonia e gli azzurri in finale a Madrid. Poi nella magica notte dell’11 Luglio, dopo un rigore sbagliato da Cabrini fu ancora Pablito, nel secondo tempo, a spianarci la strada verso la conquista del terzo titolo mondiale a 44 anni di distanza dall’ultimo. A seguire, l’urlo e la corsa indimenticabile di Tardelli e il sigillo finale di Spillo. Ricordi e lampi di storia che da ieri sera sono diventati leggenda, ovvero immortali.
Ciao Pablito, salutaci Scirea e Bearzot.